Dall’Argentina a Copacabana “50 ore in bus per il nostro Papa”

23/07/2013 
I giovani argentini

 

I GIOVANI ARGENTINI

 

In viaggio con 500 ragazzi partiti da Baires per salutare Bergoglio tra contrattempi, ritardi burocratici e la voglia di essere protagonisti

EMILIANO GUANELLA
BUS BUENOS AIRES- RIO DE JANEIRO

Il lungo viaggio, il pellegrinaggio moderno nel cuore del Sudamerica, è iniziato venerdì con la cattedrale metropolitana di Buenos Aires strapiena. Cinquecento ragazzi provenienti da una dozzina di parrocchie, assieme a genitori, sacerdoti, amici, con la benedizione dell’arcivescovo Mario Aurelio Poli, successore di Jorge Bergoglio. «Siate solidali nel vostro viaggio, condividete il cibo con chi non ne ha, preoccupatevi dei compagni che rimangono indietro e tornate col cuore pieno di allegria da condividere con chi è rimasto a casa». Parole profetiche: la lunghissima traversata non sarà priva d’inconvenienti, superati con un notevole spirito di abnegazione. Abbiamo la fortuna di viaggiare nel primo dei sette autobus della carovana,  quello che porta una replica della vergine di Lujan, patrona degli argentini.
«Questo viaggio – spiega l’organizzatore Mario Miceli – ha un sapore particolare perché molti di questi ragazzi hanno conosciuto di persona Jorge Bergoglio». Jorge e Francesco, per loro, sono una sola persona, perché, come ricordano tutti, i gesti e le azioni del nuovo Pontefice non sono altro che la continuazione di quello che ha fatto e predicato a Buenos Aires. Padre Mario guida 37 ragazzi della sua parrocchia, la Santa Lucia di Barracas, ma ha voluto che sul primo autobus ci fossero anche i giovani del quartiere di Bajo Flores, una delle «villas miseria» più pericolose della città e una delle tante che Bergoglio amava visitare e ricordava costantemente nelle sue omelie. Con loro c’è Padre Hernan, che ci lavora da anni, successore dei «curas villeros», i sacerdoti che lottarono contro la dittatura per continuare a aiutare i quartieri disagiati. Preti martiri, come Padre Carlos Mugica, desaparecido sotto il regime.
Trent’anni fa la parola d’ordine era alfabetizzare e integrare i migranti che arrivavano dai paesi limitrofi, oggi al Bajo Flores si è aggiunta la lotta contro il paco, la droga a basso costo che distrugge la vita di migliaia di ragazzini. «Il senso del pellegrinaggio – spiega – è quello raccontato nella Bibbia, un viaggio nella vita di ognuno di noi, la possibilità di caricare la croce di Cristo per testimoniare il suo insegnamento».
La prima notte scivola via veloce, col paesaggio umido e incantato della selva di Missiones e le fantastiche Cascate di Iguazù. Il primo ritardo arriva alla frontiera col Brasile: vengono controllati tutti i documenti, compresi i permessi per i minorenni, la burocrazia non aiuta. L’ultimo degli autobus viene bloccato perché ha un tergicristallo rotto, bisogna aspettare due ore prima che venga sostituito. Ci si ferma tutti, l’indicazione di monsignor Poli viene rispettata. Con gli altri ritardi via via accumulati, il viaggio che sarebbe dovuto durare due giorni diventerà di cinquantacinque ore, ma nessuno si lamenta.
«Questa giornata avrà un sapore del tutto particolare – spiega Andres Chahin, studente di psicologia – perché noi giovani latino-americani sappiamo esprimere le emozioni in maniera più forte rispetto a quelli di altri paesi. Sarà una grande festa perché ci siamo tutti identificati con Papa Francesco».
Il feeling tra il nuovo Papa e i giovani viene da lontano, da quell’invito all’anticonformismo, a lottare per una società più giusta. Una missione profetica, nel senso teologico del termine, foriera di vento nuovo e cambiamenti necessari.
È un viaggio geografico e politico, questo. Da un’Europa che spinge sempre più i giovani nel limbo del non lavoro a un Sudamerica che li vede invece protagonisti delle rivendicazioni popolari, come nelle ultime importanti manifestazioni in Brasile, ma anche in prima fila nel lavoro sociale, nelle iniziative di solidarietà, religiose e non solo.
«Per vivere la fede – dice Eugenia dobbiamo essere pronti a servire Gesù e non c’è modo migliore per farlo che aiutare il prossimo. Bergoglio lo ha sempre detto, non bastano le chiese piene e le messe stracolme, bisogna andare in strada e lavorare con gli altri».
Arriviamo a Rio alle prime luci dell’alba. La stazione degli autobus è invasa da ragazzi argentini, brasiliani, cileni, colombiani. Moltissimi altri stanno arrivando in aereo o in convogli di auto e furgoncini, gli organizzatori stanno facendo uno sforzo immane per trovare a tutti una sistemazione. Non interessano le statistiche, la sensazione è che Papa Francesco si troverà con una marea enorme di giovani a riceverlo: quello slancio nuovo che la Chiesa cercava da tempo sarà il filo conduttore di questo grande incontro di Rio de Janeiro.

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